Rappresentazioni Classiche a Siracusa: l’emozione di sedersi sulla storia

L'immagine può contenere: una o più persone e spazio all'aperto

La mia città, Siracusa, ha un passato molto più glorioso del suo presente e di quello i suoi abitanti si vantano, quasi si crogiolano. Forse sbagliamo, ma credetemi, o facciamo così o davvero ci resta la disperazione!

Non faccio di certo parte della schiera dei disfattisti di professione, di quelli che cioè godono nel dipingere la propria città come una cloaca ma, seppur a malincuore, Siracusa – amatissima dai turisti – offre purtroppo più ostacoli che opportunità per essere visitata, a cominciare dall’annoso problema dei trasporti. E però…

L'immagine può contenere: una o più persone, cielo, albero, spazio all'aperto, natura e acqua

E però, ci sta lui, sua maestà il Teatro Greco. Ogni anno grazie all’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) su questa maestosa opera architettonica, scavata interamente nella roccia, vengono riprodotte le tragedie e le commedie dei più importanti autori della storia classica, da Eschilo a Sofocle, da Euripide ad Aristofane, per la gioia degli appassionati e degli ex studenti di ogni Liceo Classico che si rispetti.

Sedersi su quelle pietre, credetemi, permette un immediato salto nel tempo. Si viene catapultati a oltre 2500 anni fa (a proposito: quest’anno Siracusa compie ben 2750 anni!), ci si immagina circondati dai figli di Corinto, entusiasti e pronti a ripartire da zero in questa nuova e lussureggiante terra, lambita dal mare, baciata dai venti, benedetta dalla terra fertile. Ci si sente orgogliosi del proprio sangue greco, si dimentica per un’ora e mezza il ritardo clamoroso dei bus navetta, il traffico asfissiante, la differenziata al 5%, e si torna ad essere fieri, quasi a guardare come barbari i popoli “oltre confine”, costretti ad utilizzare il nuovo servizio di traduzione simultanea messo in campo dall’Inda.

Il consiglio, totalmente disinteressato a livello economico ma dato da vero amico, è quello di stare almeno tre giorni a Siracusa nel periodo primaverile, due da dedicare alle tragedie di quest’anno – I sette contro Tebe di Eschilo e Le Fenicie di Euripide – e il terzo da dedicare alla città, all’isola di Ortigia, ai vicoli più nascosti e pittoreschi. Dal 29 giugno poi arrivano pure Ficarra e Picone per Le Rane di Aristofane ma di biglietti credo ne siano rimasti pochissimi!

Per sapere tutto su trame, programma, biglietti e anche per trovare qualche posto interessante dove dormire e dove mangiare a Siracusa, potete cominciare a dare un’occhiata al portale Fuori Teatro, in costante aggiornamento.

Sono sicuro che poi mi ringrazierete!

La libertà di stampa è una cosa che si mangia

Oggi, 3 maggio, si festeggia la libertà di stampa.

In Italia, grazie alla nostra Costituzione in teoria questo concetto è addirittura recepito come uno dei cardini della democrazia. Che rivoluzionari questi padri costituenti!

Il concetto di libertà di stampa non è però astratto o puramente ideale come a volte sembra ascoltando le solite chiacchiere da salotto: in realtà la libertà di stampa è una cosa concreta, una cosa “che si mangia” ma che però, spesso, non fa mangiare.

Cerco di spiegarmi meglio.

Per mesi certi loschi figuri che di democrazia non ne capiscono un tubo additavano la stampa italiana, agli ultimi posti nelle classifiche internazionali riguardo alla libertà, come serva e prona ai poteri forti.

In realtà per troppo tempo questa classifica è stata letta al contrario, visto che il motivo del posto così in basso era proprio il coraggio e la libertà di molti colleghi che a causa delle loro inchieste si sono ritrovati incriminati o peggio costretti a essere protetti da una scorta. Tanto che è bastata l’assoluzione dei colleghi Nuzzi e Fittipaldi per la vicenda Vatileaks e come per magia abbiamo riacquistato circa 20 posti.

La libertà di stampa si tocca, si mangia ogni qual volta un collega scrive di un fatto, lo analizza e non bada a chi potrebbe fare arrabbiare. La libertà di stampa diventa un concetto ideale se si permettono querele temerarie e richieste di risarcimento esagerate al solo scopo di intimidire il giornalista.

La libertà di stampa mantiene un senso quando chi scrive si informa, verifica e pubblica una notizia solo se ne è assolutamente sicuro; va a farsi benedire quando, anche se bravo giornalista, cede al fascino del click facile, dell’informazione parziale, della bufala.

La libertà di stampa diventa reale quando chi investe in pubblicità lo fa esclusivamente pensando alla visibilità e al prestigio del giornale e non alla sua linea editoriale; torna ad essere eterea quando la pubblicità viene promessa “solo se…”.

Capita allora che per mantenere fede alla libertà di stampa, ai propri principi e alla deontologia di una professione comunque nobile, risulti difficile mangiare con il proprio lavoro, perché non disposti a sottostare a quel “solo se…”.

E allora oggi dedico questo inutile post a tutti quei colleghi che hanno deciso di tirare la cinghia pur di continuare a camminare a testa alta, magari rimettendoci anche la vita: loro, e soltanto loro, sono l’orgoglio di un’intera categoria.

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Apologia postuma di Umberto Eco (ovvero: basta imbecilli sui social!)

Se è vero che mi manca davvero il tempo per aggiornare come si deve il mio blog, è altrettanto sacrosanto ammettere che di spunti da approfondire invece ne avrei fin troppi.

In questo piccolo ritaglio di tempo che mi sono ricavato con la forza vorrei però soffermarmi sul ricordo mai troppo elogiato di Umberto Eco, autore di grandi capolavori ma ricordato da qualche anno per una sua felice frase (felice, ho scritto bene eh) sul mondo dei Social, riguardante una presunta “legione di imbecilli” a cui avrebbero dato diritto di opinione.

Premettiamo che a scanso di equivoci, il ragionamento che farò sembrerebbe per forza di cosa generalista ma sappiamo ovviamente che non è possibile rivolgersi al miliardo abbondante di utenti social come ad un’unica massa informe, quindi ignorerò qualsiasi commento riguardante l’argomento “non fare di tutta l’erba un fascio”, perché non la faccio mai; semmai, qui semplifico per ovvi motivi di fruibilità.

E allora diciamolo subito che Eco non aveva ragione, aveva – mi si passi l’orrido neologismo – ragionissima. Intendiamoci: nessuno qui vuole togliere il diritto di esprimere opinioni alle persone, fossero pure intellettualmente povere. Semplicemente, non bisogna sottovalutare la potenza del mezzo che, unita alla stra-potenza dell’ignoranza, trasforma stronzate che in epoca offline avrebbero raccolto al massimo pernacchie in autorevoli disquisizioni “alla pari” con luminari che invece di quell’argomento ne sanno davvero.

Mettiamolo subito l’altro paletto scomodo: non tutte le opinioni hanno la stessa valenza. Anzi, alcune non ne hanno a sufficienza, altre sono vere e proprie stronzate.

Domandone populista: chi decide se la mia opinione ha più valore della tua o viceversa? Tempo addietro, e scusate se sembro mio nonno nel rispondere così, questa domanda non avrebbe avuto alcun senso, perché a rispondere era il buon senso: semplicemente, se sono ignorante non mi pongo alla pari di chi ha studiato o ha fatto molta più esperienza sul campo di me. Le persone semplici accettavano con fiducia il parere del medico, del legale, dell’architetto, al massimo ne ascoltavano altri, sempre riconosciuti e preparati, per avere più opinioni altrettanto autorevoli.

Oggi, e i Social diventano il pericoloso mezzo di questo scempio, qualunque imbecille si può alzare e confutare gli studi di Pasteur, Marie Curie, Galileo o Leonardo Da Vinci solo perché trova terreno fertile nell’ignoranza dilagante.

Ma attenzione: chi di Social ferisce di Social (e di informazione giornalistica fatta come si deve) poi può pure perire, vedi il caso recentissimo di Report e dell’inchiesta-vergogna sui vaccini, demolita proprio dal tam-tam su Facebook e Twitter.
Per questo alla fine non ce la possiamo mai prendere con il mezzo ma solo con noi stessi che a certi cretini, sui social, regaliamo attenzioni non dovute.

Il sito, l’identità, l’essenza di Giovanni Polito

Ci siamo: la mia creatura, il mio sito personale, sta prendendo finalmente vita.

La questione è semplice: nel mondo dominato dalla comunicazione social, diventa sempre più fondamentale creare e poi curare il proprio sito web personale.

Guardate che non è un paradosso quello che scrivo: usando una metafora (e ne troverete tante, sparse nelle varie sezioni), nel mare in tempesta delle informazioni convulse che transitano sui social media, il proprio sito personale rappresenta una sorta di isola sicura, un porto franco nel quale rifugiarsi e ospitare, perché no, anche qualcuno dei milioni di naufraghi intontiti dai flussi mediatici incessanti.

La durata media dell’interesse di un contenuto condiviso su Facebook è, stando ad alcune ricerche indipendenti, circa 15 ore, contro le poco più di 4 di Twitter e le circa 22 di Instagram. Questo significa che in meno di un giorno (se va bene) qualunque vostro segno di esistenza social perde radicalmente di valore, venendo soppiantato nello stream dei vostri amici da un video di gattini o da gente che si incendia i peti.

Diventa quindi necessario conservare in un luogo virtuale i contenuti che per voi meritano di un’attenzione maggiore e di una vetrina sempre valida, uno spazio web dove raccontare e raccontarvi, professionalmente o anche privatamente, ad esempio mettendo a nudo i vostri sentimenti tramite un blog a tema.

I social si trasformano in questo caso in semplici strumenti, mezzi di divulgazione di contenuti creati da voi e che nessuno può permettersi di scalzare con gattini o peti, perché restano sul sito finché glieli lasciate voi.

A partire da oggi dunque qui, su www.giovannipolito.it, partiranno spunti di riflessione, racconti di esperienze e passioni vissute che avrò il piacere di condividere con chi vorrà concedermi qualche minuto del suo tempo.

Il sito, ancora in fase di completamento, è formato da due sezioni di cui una parte prettamente “istituzionale”, dove si può consultare la mia esperienza professionale, a sua volta divisa in cinque macroaree e dalla quale è possibile poi partire per eventuali richieste di consulenze e/o incarichi; la seconda parte è invece questa legata al classico blog, lo strumento dinamico con il quale cercheremo di instaurare un dialogo alla pari, con spunti e interventi legati alle mie passioni o all’argomento del giorno.

Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che mi dedicherete: spero onestamente di meritarmela, quanto meno più dei gattini e dei peti!